Caracol – Fuori Tratta

L’ Arci di Salerno dal 2008 si occupa di emersione, segnalazione e identificazione  delle vittime di tratta e grave sfruttamento e cura il loro invio ai servizi di assistenza e protezione. Dal 2008 ad oggi 2474 contatti in strada di cui 1285 donne; 901 accompagnamenti ai servizi territoriali di cui 284 accompagnamenti sanitari e 166 programmi di  assistenza.

 

 

Ambito:

Diritti migranti e richiedenti  asilo, politiche antirazziste

Referente:

Arci Salerno

 

 

Nati nel 2008, i progetti ‘Fuori tratta-Caracol’ sono finalizzati all’emersione, la segnalazione, l’identificazione  delle vittime di tratta e grave sfruttamento e al loro invio ai servizi di assistenza e protezione. A partire dal primo contatto, in strada, gli operatori forniscono accoglienza residenziale protetta e individualizzata per garantire un luogo sicuro; assistenza sanitaria, psicologica e legale per superare la forte vulnerabilità delle vittime; accompagnamento per ottenere il permesso di soggiorno, la regolarizzazione della persona e il raggiungimento di una vera autonomia; formazione e attività mirate all’inserimento socio-lavorativo. Gli interventi vedono la partecipazione di figure professionali e mediatori linguistico culturali che dispongono di un’unità mobile dell’Arci. Viene fornita assistenza sia alle donne vittime di tratta che alle persone che subiscono sfruttamento lavorativo.

Dal 2008, a Salerno e provincia, il progetto ‘Fuori tratta’ ha  contattato in strada circa 2474 persone (quasi 200 persone nuove ogni anno), di cui 1189 uomini. Gli accompagnamenti ai servizi territoriali sono stati 901, di cui 284 accompagnamenti sanitari; il progetto ha realizzato 166 programmi di assistenza rivolti in particolare a donne vittime di tratta e sfruttamento sessuale.

Le storie di seguito sono state scritte da due ospiti e beneficiari del progetto, che hanno deciso di raccontare la loro storia, sono state riportate integralmente di seguito:

“Mi chiamo s. f.a., ho 39 anni vengo dalla Nigeria. Sono arrivata in Italia nel 2003, ho deciso di lasciare la mia terra perché vivere lì era molto molto difficile. Per lasciare il mio paese ho dovuto contrarre un debito, sapevo che avrei dovuto restituire tutti quei soldi e per questo motivo ho trascorso i miei primi anni in Italia sotto minaccia in una situazione di ricatto e sfruttamento.  
Chi mi ha portata in Italia, la donna, il gruppo criminale, la madame come volete chiamarla voi, mi ha tolto tutti i documenti, la mia identità, tutto, non esistevo più.

Per paura che mi potesse succedere qualcosa, a me e alla mia famiglia ho subito ogni genere di violenza. dentro di me ho sempre avuto la voglia di riscattarmi di fuggire, di riprendermi la mia vita, ma in sette anni non sono riuscita a liberarmi, il mio debito non finiva mai, le violenze non finivano mai. in quegli anni ho conosciuto tante ragazze nelle mie stesse condizioni, donne oggetto di scambio, oggetto di vendita. Poi  un giorno ho chiesto aiuto, avevo ancora paura per me e la mia famiglia, sapevo dell’esistenza di progetti che aiutavano donne nelle mie condizioni, avevo bisogno di sentirmi dire non ti preoccupare, noi ci siamo noi ti aiutiamo.

Attualmente sono accolta presso il progetto dell’Arci per donne vittime di tratta. Ho ottenuto un permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi dell’art. 18 del testo unico per l’immigrazione, e dal mese scorso non sono più una clandestina, ora sto studiando, sto cercando di costruirmi un futuro. Oggi con un permesso di soggiorno inizio a coltivare la speranza di trovare un vero lavoro, come clandestina non riuscivo a vedere una via di uscita. e ancora oggi mi chiedo se senza l’Arci sarei riuscita a farmi guardare come una persona. Non avrei mai pensato di poter raccontare la mia storia, oggi sono pronta, la mia storia è quella di tante altre donne che hanno bisogno di accoglienza che hanno bisogno di aiuto e voglio raccontarla perché c’è bisogno di fare tante altre cose, per combattere questo fenomeno bisogna conoscerlo qui in Italia e c’è bisogno di fare prevenzione nel mio paese.”

“Mi chiamo i., sono albanese. All’età di tredici anni, sono stata rapita, da persone del mio paese di origine.

Sono stata portata in una casa, legata ad un  letto, mi hanno imbavagliata e coperta gli occhi.

Silenzio, paura e buio totale e un dolore inspiegabile.

Ho sentito il male, non ho visto chi mi ve lo avesse fatto, so per certo che  la mia infanzia è finita quel giorno.

in seguito sono stata portata in Italia.

Qui è cominciato il mio calvario, ho visto  di tutto e di più costretta a subire violenze, nelle speranza che un giorno mio padre mi venisse a prendere.

Questo giorno purtroppo non è arrivato, per me.

Ho visto tante donne di tutte le nazionalità subire e soffrire le mie stesse violenze, o anche peggiori, semplicemente  nel caso qualcuna fosse rimasta incinta non esistevano i medici ma calci e pugni, per loro era un antidolorifico, per loro era una cosa normale.

Non avevano paura di niente e di nessuno convinti che solo perché eravamo donne sole al mondo  potevamo subire tutto. anche perché a volte la legge non è quello che sembra quando spesso ci fermavano le forze di polizia non se ne fregavano dell’età o dei segni di violenza che avevamo in faccia ma si preoccupavano semplicemente del permesso di soggiorno.

In venti anni di violenze ho aiutato tante donne a scappare, aspettando di trovare la forza per me stessa anche se ormai ero convinta di non avere altre possibilità nella vita, finchè un giorno mi hanno detto che avrei compiuto l’ultimo viaggio della mia vita, e li mi sono detta trova la forza, denunciali e inizia a vivere.

Che dire? il volto di una donna che subisce violenze è come la notte senza stelle oggi insieme possiamo superare qualsiasi ostacolo, il mio richiamo a tutti in generale, donne uomini e bambini è che insieme ce la possiamo fare a dire basta a qualsiasi tipo di violenza. chiudo ringranziando chi mi ha restuitito la fiducia nella legge, e una possibilità di un futuro”.